di Marco Bongianni
TORINO – Dopo la grande vittoria in Champions League contro il Barcellona, la Juventus questa sera torna in campo e affronterà fuori casa il Genoa. Sarà una partita importante per gli uomini di Andrea Pirlo, che vuole dare seguito alla crescita della squadra. Della sfida di oggi ha parlato anche Massimo Bonini, che ha giocato con la Juve dal 1981 al 1988, vincendo tantissimi trofei. L’ex centrocampista bianconero ha rilasciato delle dichiarazioni in esclusiva alla nostra redazione, parlandoci anche della sua esperienza in Serie A e del suo rapporto col mitico Paolo Rossi, scomparso pochi giorni fa.
Questa sera la Juventus sarà impegnata contro il Genoa: dopo la grande vittoria contro il Barcellona, cosa si aspetta dai bianconeri?
“Mi aspetto una crescita di consapevolezza della squadra. Di solito quando vinci così, queste partite ti danno la consapevolezza della tua forza. Le partite come quella di stasera sono le più importanti, perché i campionati si vincono con le squadre di seconda fascia, perciò non puoi permetterti di perdere questi punti qui. Per giocare con il Genoa bisogna vincere e cercare di far di tutto per portare a casa il risultato, perché sono gare fondamentali per poter vincere il campionato. A Barcellona, però, è stata veramente tanta roba, perché riuscire a vincere contro il Barça in quella maniera lì è veramente una grande cosa. Ogni partita, però, è una storia a sé: bisogna giocarsela sempre e il Genoa, dato che non è messo benissimo in classifica, sicuramente non sarà un avversario facile da affrontare”.
Lei con Platini, Tardelli e Marocchino formava un centrocampo stellare nella Juve di Trapattoni: in cosa può migliorare il centrocampo dei bianconeri di oggi?
“Di solito non è un reparto che deve migliorare: è giocare da squadra che fa la differenza e giocare da squadra significa muoversi insieme bene. Il centrocampo è importante, ma è importante la difesa che comanda il centrocampo e il centrocampo che comanda gli attaccanti. Così si crea una squadra, cercando di mantenere le distanze giuste e comunicando quando bisogna andare a pressare. Insomma, bisogna diventare più squadra ed è quello che deve fare la Juventus in questo momento. Non è facile per Pirlo, perché giocando ogni tre giorni non hai il tempo necessario per poterti allenare; l’allenatore di solito deve allenare le situazioni di gioco e, purtroppo, giocando ogni tre giorni giorni diventa difficile avere il tempo necessario per fare questo. Però ha dei giocatori così bravi tecnicamente e talmente intelligenti che, giocando insieme, riusciranno a diventare squadra e il tecnico deve dare i suggerimenti giusti.
Il problema non è il centrocampo, perché questo lavora bene se gli attaccanti lavorano bene, se i difensori aiutano e accorciano davanti. Insomma, la Juventus deve diventare più squadra perché i giocatori, presi uno per uno, ci sono. Questa è una rosa di giocatori talmente vasta che Pirlo ha l’imbarazzo della scelta. Diventando più squadra e muovendosi meglio in campo insieme, si concede molto meno, perché la squadra avversaria non ha molte soluzioni se si pressa tutti insieme. Se il pressing diventa individuale, diventa più facile per loro, perché si corre a vuoto; si può rubare palla ogni tanto perché magari l’avversario sbaglia, ma oggi ci sono dei giocatori talmente tecnici che è molto difficile riuscirci”.
Da alcuni anni è dirigente della federazione calcistica della Repubblica di San Marino: dopo i buoni risultati dell’ultima Nations League, adesso affronterete anche le qualificazioni per i Mondiali del 2022 e giocherete a Wembley contro l’Inghilterra. Quanto è importante per il calcio sammarinese questa opportunità?
“A San Marino è importante soprattutto per far conoscere il nome di San Marino, che è piccolissima, ha 30mila abitanti. Scegliere su 30mila abitanti dei giocatori è difficile. Noi abbiamo 50 bambini per ogni età e su quei 50 bambini che giocano a calcio dobbiamo poi costruire una Nazionale che va a giocare contro l’Inghilterra, contro la Germania. Perciò è impensabile competere con gli altri e pensare di fare una squadra competitiva. Però, la cosa importante è che contro le nazioni che hanno sempre più abitanti di noi ce la possiamo giocare: contro il Liechtenstein, per esempio, abbiamo rischiato di vincere in casa loro. Il problema è che diventa difficile tante volte formare la squadra, perché qui giocano tutti per divertimento e non sono professionisti, la gente lavora e spesso deve fare delle scelte. Per fare la squadra a volte dei giocatori non possono venire, perché non gli danno il permesso di lavoro, oppure hanno la scuola. Ci sono tante problematiche e si rischia di non mettere su una squadra competitiva a causa di esse. I giocatori si allenano di sera, dopo il lavoro: però, si cerca sempre di fare il massimo, cercando di migliorare sempre nel nostro piccolo.
La cosa importante per noi è far parlare di San Marino: quando noi andiamo a giocare in Spagna o in Inghilterra gli stadi sono sempre pieni, non veniamo snobbati. Questo è importante, far conoscere il nome di San Marino, che tanti spesso non sanno nemmeno dov’è. Il calcio è un veicolo pubblicitario fondamentale per far conoscere San Marino nel mondo, dato che nel paese contro cui giochiamo parlano per una settimana di noi, perché dei nostri giocatori uno fa l’imbianchino, un altro il meccanico, un altro studia. La cosa importante è che non ci snobbino e che cerchiamo di giocare a calcio; infatti non facciamo mai male a nessun giocatore, non facciamo delle entrate pericolose e rispettiamo sempre le regole. Questo è importante, perché così si migliora sempre di più. Inoltre, dalle ultime statistiche della UEFA la nostra squadra è migliorata tantissimo: abbiamo tenuto di più la palla, abbiamo creato più occasioni da gol. Poi si possono prendere anche 4 o 5 gol, però questo per noi è l’importante, crescere anche in questi numeri”.
Quasi 300 presenze e tantissimi trofei vinti con la maglia della Juventus: qual è il momento più significativo della sua esperienza in bianconero?
“Io ero tifoso juventino, quindi giocare nella Juventus è stato il massimo che potevo raggiungere. La mia è stata una carriera molta strana: fino a 17 anni giocavo i tornei dei bar e non pensavo di fare il calciatore, tanto che per un anno ho smesso di giocare per fare il maestro di tennis. Poi, dopo, grazie ad un allenatore che abitava accanto a casa mia e che mi rompeva le scatole tutti i giorni dicendomi: ‘Dai vieni a giocare!‘, ho rireso. Poi sono andato al Bellaria e lì l’allenatore era Arrigo Sacchi, che era al primo anno da tecnico. Quindi, a 17 anni giocavo i tornei dei bar e a 21 anni giocavo nella Juventus.
La cosa più importante e bella è stato quando sono arrivato e salire sul pullman della Juve, dove c’erano Zoff, Gentile, Cabrini, tutti questi giocatori che io avevo visto solo in televisione. Giocavo a Cesena e avevo vinto il campionato di Serie B, però ho giocato sempre vicino casa senza andare mai fuori come tanti altri giocatori. Quindi, arrivare sul pullman della Juve e vedere questi giocatori qui è stato forte e ho pensato: ‘Ma cosa ci sto a fare io qua, che vengo dalla Serie B‘. Poi dopo ho avuto la fortuna di trovare un gruppo fantastico, che si aiutava: era una squadra di calcio, che voleva vincere e aveva tutti i crismi per poter far bene e lo ha fatto. Giocare in questa squadra qua per me è stato il massimo dei massimi. Il punto più alto era vincere il campionato, ma poi vincere tutte le coppe e soprattutto la Coppa Intercontinentale, perché con questa sei Campione del Mondo a livello di club. Non c’è un traguardo superiore a questo e, pertanto, questo trofeo è stata la massima soddisfazione, anche per la partita così bella ed emozionante: ha lasciato veramente un ricordo indelebile nella mia vita. Prima perdevamo 1-0, poi abbiamo pareggiato, poi ci hanno fatto il 2-1, poi 2-2, il gol di Platini che hanno annullato e infine i rigori. Insomma, è stato un insieme di emozioni bellissimo e, poi, alla fine della gara contro gli Argentinos Juniors eravamo Campioni del Mondo ed essere Campioni del Mondo a livello di club è una cosa fantastica”.
Infine l’ultima domanda per salutarla e ringraziarla. Pochi giorni fa, purtroppo, ci ha lasciati il grande Paolo Rossi. Siete stati compagni di squadra diversi anni: ha un ricordo speciale legato al mitico Pablito?
“Sono stato al funerale di Paolo a Vicenza. Ancora non ci posso credere e non ho ancora metabolizzato il fatto che non c’è più. Quando io sono arrivato alla Juventus, il primo giocatore bianconero che ho conosciuto è stato Paolo Rossi, perché nell’81 la Juve aveva acquistato due giocatori: Rossi e Bonini. Io sono arrivato a Torino e non conoscevo niente in città; sono andato all’albergo Ambasciatori e ho conosciuto Paolo. Andavamo in giro con lui per la città, andavamo insieme agli allenamenti, alle visite mediche, a mangiare insieme la sera. Poi, dato che non avevamo casa, abitavamo all’Ambasciatori. Paolo Rossi a quei tempi era come Cristiano Ronaldo adesso: lo conoscevano tutti e tutti volevano farsi una fotografia o farsi fare l’autografo. Questo perché Paolo Rossi non rappresentava una società o una squadra, ma rappresentava l’Italia. Quando andavamo a fare le tournée in Australia o in America, Paolo non poteva girare per strada, perché tutti lo conoscevano. Paolo Rossi era il simbolo del calcio italiano e non è giusto che se ne sia andata una persona così, semplice, che era sempre sorridente, rideva e scherzava. Era una persona fantastica, una bella persona, e quando hai la fortuna di conoscere una bella persona e di viverci insieme è veramente una cosa eccezionale. Quello, poi, era un gruppo fantastico, perché in quella squadra eravamo tutti italiani, tranne due stranieri che erano Boniek e Platini, due grandissimi campioni.
Come giocatore è superfluo dare un giudizio su Rossi: uno che ha vinto il Campionato del Mondo, che ha vinto il Pallone d’Oro, gli Scudetti e le coppe con la Juventus non ha bisogno di un giudizio. Inoltre, era talmente facile giocare con lui perché conosceva benissimo il gioco. Quando dicevano ‘Paolo Rossi è fortunato‘ sbagliavano, perché Paolo Rossi era intelligente: uno che capiva prima la giocata, che sapeva dove andava a finire il pallone. Sapeva leggere il gioco e capire dove aveva un vantaggio e dove uno svantaggio. Fisicamente non era superdotato, ma viveva sullo scatto e sul dribbling; inoltre, ha reso il 50% di quello che era, perché aveva sempre dei problemi fisici. Al 100% è stato solo quando era a Vicenza e lì faceva una marea di gol, perché lì stava bene. Dopo, però, ha avuto sempre problemi alle ginocchia e si allenava col contagocce, perché non aveva la possibilità di allenarsi bene. E quando un giocatore non si allena bene, perché sta sempre col freno a mano tirato per paura di farsi male, rende la metà. Però, pure giocando al 50%, ha fatto tutte queste cose qui: chissà che cosa avrebbe fatto se fosse stato al 100%. Poi, come persona era fantastico, uno di quelli con cui si sta bene insieme, che ha sempre voglia di scherzare, che rideva sempre. Una bella persona“. >>> E intanto, parlando di mercato, ci sono 11 nomi nei sogni di Pirlo per una formazione totalmente nuova, ecco come sarebbe! <<<
Ringraziamo Massimo Bonini per la sua disponibilità e per le bellissime storie che ci ha regalato.
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