Seconda parte della lunga intervista che l’ex calciatore della Juventus Simone Pepe ha rilasciato ai canali ufficiali del club bianconero: “Quando sono passato alla Juventus venivo da tre anni all’Udinese: lì c’erano tanti attaccanti, io ero uno di quelli ma facevo pochi gol e quindi mi sono dovuto riadattare. La dote più grande che mi riconosco è quella di essere stato bravo a reinventarmi, mettere giù la testa e ricominciare daccapo. Sono arrivato alla Juve dopo tre anni importanti all’Udinese grazie ai quali ero riuscito a raggiungere anche la Nazionale. La Juventus era l’occasione della vita, mi son detto: “ci ho messo tanto per arrivare qua, finché ce la faccio dò tutto quello che ho”. Il primo anno con Delneri non feci male, la stagione andò in maniera negativa, ma i tifosi si legarono a me perché vedevano che mettevo tutto quello che avevo in campo. Delneri chiedeva un gioco dispendioso perché voleva che il quarto di centrocampo facesse il quinto di difesa e per ripartire c’erano 100 metri di campo da fare. Poi con Conte è cambiato tutto, abbiamo vissuto l’evoluzione del calcio italiano, è stato lui a portarla sia a livello fisico che tattico perché noi ogni tre mesi cambiavamo modulo. In un anno abbiamo fatto 4-2-4, 4-3-3 e 3-5-2, quindi appena gli altri provavano a studiarci non facevano in tempo a capirci che già avevamo una soluzione diversa per metterli in difficoltà. A dicembre nell’annata con Delneri in panchina, prima della partita con il Chievo a fine anno, eravamo primi in classifica: poi abbiamo avuto un crollo prima di tutto fisico, oltre al fatto che quel gruppo mancava d’esperienza… Eravamo ragazzi che non erano abituati a vincere come richiesto dalla Juve e non è stato neanche facile per il mister. Non eravamo proprio pronti. L’anno dopo sono cambiate tante cose, è arrivato anche Pirlo dal Milan che ci ha fatto questo bel regalo… E poi Lichtsteiner, Vucinic, tutti giocatori importanti che sono riusciti a esprimersi al massimo delle potenzialità. Il più simpatico nello spogliatoio ero io e non Pirlo… Andrea fa ridere, lo vedi da fuori e sembra uno che parla poco ma fa ridere parecchio. Gli riconosciamo però più le doti calcistiche che la simpatia. Eravamo un grande gruppo e nell’anno del primo Scudetto, parecchi di noi nella stagione precedente avevano sofferto tutti insieme e avevamo una voglia di rivalsa. Nessuno aveva mai lottato per vincere e avevamo una fame che andava oltre: l’obiettivo era quello di lasciare un segno nella storia del club. La Juve ha qualcosa che è complicato da spiegare agli altri: quando ti dicono che ha una mentalità diversa, molti si chiedono cosa voglia dire… Capire quello che respiri, quello che vivi: è un qualcosa che non si trova da nessun’altra parte. Una volta appesi gli scarpini al chiodo, non è facile staccare da quella vita: quando hai vissuto degli anni così belli, pieni di sacrifici, ma in cui hai coronato il sogno che avevi da bambino di giocare in Serie A, alla Juve, in Nazionale. Non è facile ripartire, reinventarsi, perché non hai fatto altro nella vita. Io sono intraprendente e mi sono creato una società di procuratori, ho cominciato a fare l’agente con un avvocato e altri due collaboratori. Però non tutti siamo uguali di carattere, c’è chi lavora in TV… Io ho preso questa strada perché volevo dimostrare a me stesso di saper fare altro oltre che giocare a pallone e questo mi ha dato tanta soddisfazione perché oggi gestire 23 ragazzi è un motivo d’orgoglio”.
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