Sassi: "I medici non hanno colpa sugli infortuni, ci sono tanti fattori"

Sassi: “I medici non hanno colpa sugli infortuni, ci sono tanti fattori”

Roberto Sassi, preparatore atletico, ha analizzato le varie cause degli infortuni dei calciatori, percentuale in aumento negli ultimi anni.

Roberto Sassi, preparatore atletico, ha rilasciato delle dichiarazioni a Tuttosport, parlando dell’aumento degli infortuni nei club. Ecco le sue parole: “È giusto fare una premessa. Dagli studi Uefa emerge un dato importante: negli ultimi 15 anni, nei club che competono su tre fronti, si è verificata una crescita intorno al 4% degli infortuni, prevalentemente ai muscoli posteriori della coscia. Questi ultimi rappresentano il 70-80% dei ko muscolari e molto spesso avvengono nelle fasi di gioco ad alta velocità.”

Sulle cause degli stop:È multifattoriale. Dal carico di allenamento al poco adattamento all’alta velocità, non a caso ci si fa male molto di più in partita che durante una seduta settimanale. Non è che in allenamento ci si risparmi, ma nei 90 minuti di gara c’è un maggiore coinvolgimento emotivo e poi subentra la fatica, infatti ci si infortuna prevalentemente negli ultimi 15 minuti del primo tempo e negli ultimi 15 della ripresa. Il preparatore, attraverso l’analisi dei dati quotidiani dell’allenamento, può notare dei campanelli d’allarme, come l’affaticamento di un giocatore. Però ci sono tanti fattori che incidono, a partire dall’età. E alcuni studi hanno evidenziato che la metodologia di uno staff potrebbe influenzare gli infortuni. Ma come ripeteva sempre Conte: conta la classifica dei risultati, non quella degli infortuni.”

Sulle responsabilità ed i dati: “Per quella che è la mia esperienza, in fase di infortunio i medici non hanno alcuna colpa perché non vengono quasi mai coinvolti nella programmazione degli allenamenti. Eventualmente lo staff medico può avere responsabilità sulle ricadute. Però la verità è che la pressione per far rientrare un giocatore in anticipo è di tutti e in tutte le categorie: allenatore, dirigenti e anche gli stessi ragazzi ci tengono a tornare in campo nel minor tempo possibile. Dai dati complessivi non emerge una grandissima differenza. Ci vorrà l’impegno di tutti per ridurre questa “pandemia” del calcio”.”

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