L’ex giocatore della Juventus Michael Platini, ha parlato intervistato dai microfoni de Il Corriere della Sera, dicendo la sua sulla squadra bianconera e sul suo futuro: “Ho reso orgoglioso l’Avvocato. È lui che mi ha voluto. Credo pensasse, tra sé, che era stato lui, non Boniperti o altri, a scegliermi e ciò che avevo fatto era la conferma che lui capiva di calcio e quindi nessuno poteva rompergli le scatole sul tema. Lui mi ha consentito di avere la massima libertà, in campo e fuori. Sì, credo di averlo reso orgoglioso. E questo fa felice me”.
“È stata una terribile sorpresa la morte di Rossi, un autentico choc. Paolo era davvero una brava, bella persona. Lui non era matto di calcio, con lui si poteva parlare di tutto. Io gli rubavo le sigarette; lui si arrabbiava moltissimo. Sono stati anni speciali, ci siamo divertiti tanto e abbiamo vinto tanto. Giocavo non solo con grandi calciatori, ma con uomini speciali, molti dei quali sono restati miei amici”.
“L’Heysel è un brutto, bruttissimo ricordo. I momenti successivi alla partita sono stati tremendi. Sono andato con Gaetano Scirea due giorni dopo a visitare i feriti all’ospedale di Bruxelles. È stata una cosa bruttissima. Quando pensi che delle persone erano venute fin lì per vederti e non sono più tornate a casa, dalla propria famiglia... Io non mi sono quasi mai espresso su quel giorno, non mi piace parlare del dolore altrui, ma è stato davvero terribile. Mia madre, che era molto cattolica; mi ha sempre parlato della fatalità come di un arbitro dell’esistenza di ciascuno. E per me è stato così; sempre. La morte fa parte della vita, lo so. E so che bisogna sempre rialzarsi e ripartire. Queste sono le cose che mi hanno insegnato, che ho nella mia testa dura di piemontese della Lorraine. Ho fatto così, anche in quei giorni orribili che porto sempre con me”.
“Tokyo era il punto di arrivo di una generazione di giocatori che avevano vissuto insieme anni bellissimi. Avevamo vinto tutto e ci mancava solo di conquistare la Coppa del mondo per club. Quel giorno c’era a Tokyo anche il figlio dell’Avvocato, Edoardo. Era una partita decisiva. Arriva un arbitro che mi annulla quel gol. Quel gol: palla fatta passare sulla testa del difensore e tiro al volo nell’angolo. L’avrei ammazzato. Quel gesto era un atto di disperazione. Che faccio: gli vado addosso, gli rifilo due sberle, lo ammazzo, lo strangolo? Mi faccio espellere e lascio la squadra in dieci? Ma come, mi annulli un gol così, nella finale della Coppa del mondo? Sono quei gol che già se ti vengono in allenamento… Ma in una finale… Come quello di Van Basten nella partita decisiva dell’Europeo 1988. Sono reti che girano il mondo, che restano nella storia. Quel giorno faccio un gol così bello e tu me lo annulli per un fuorigioco passivo segnalato da un guardialinee di Singapore? Era da ammazzarlo. Mi sono sdraiato a terra, mi sono appoggiato su un gomito, l’ho guardato. Era un gesto di protesta non violenta. Non era per la televisione, era pura disperazione”.
“Tornare nel calcio? Per ora no. Ho già fatto tutto. Sono stato calciatore, allenatore, dirigente. E dunque bisognerebbe ci fosse un progetto interessante, nuovo, strano, davvero rivoluzionario. Oggi ho 68 anni, sono segnato da quarant’anni di pressione, di costante esposizione. Mi hanno fatto diverse proposte, ma ho sempre rifiutato. Ora sto godendo la mia vita. Presidente della Juventus? Nessuno me lo ha mai chiesto…”
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