In un’intervista in esclusiva a OneFootball, Claudio Marchisio ha parlato della sua carriera e dell’esperienza con la Nazionale italiana:
Euro 2012 Polonia/Ucraina con Prandelli. Cosa si ricorda di quell’Europeo e di quel gruppo?
Quello è stato il mio primo Europeo, che ha fatto seguito al Mondiale nel 2010. C’era molta attesa per vedere all’opera la Nazionale, chiamata al riscatto. Con Prandelli avevamo ritrovato il feeling con la nostra Nazione e i nostri tifosi: è stata una grande esperienza, nella quale abbiamo maturato fiducia nelle nostre potenzialità partita dopo partita.
Sempre titolare, mai sostituito. C’è una partita che si ricorda più volentieri e perché?
Senz’altro quella contro l’Inghilterra. Fu una partita molto equilibrata: noi creammo tante occasioni da reti, pur senza riuscire a sbloccare il risultato. Arrivati ai rigori bisognava decidere i rigoristi: io ero già in lista, ma andai da Prandelli a chiedergli di non inserirmi nei primi 5 perché avevo dato talmente tanto in partita che avevo i crampi ai polpacci. Alla fine, ce l’abbiamo fatta. Vincere in quel modo, soffrendo e dando tutto ciò che avevamo, ha amplificato la nostra gioia. Ricordo il cucchiaio di Pirlo, la vera sliding door della gara. Ci infuse tranquillità in un momento delicatissimo e capimmo che ci saremmo qualificati.
L’intesa tra i due era talmente forte da uscire dai confini del campo da gioco. Forse Mario riconosceva in Antonio la sua stessa natura e il suo stesso talento. Si creò un’affinità che permise a entrambi di rendere al massimo in ogni gara.
Poi la finale con la Spagna, persa 4-0. Cosa andò storto in quella partita?
Arrivammo alla partita esausti. Avevamo avuto meno tempo di recupero rispetto alla Spagna e molti giocatori arrivarono in condizioni non ottimali, se non infortunati. La Spagna era più attrezzata, parliamo di una nazionale che ha dominato il calcio mondiale in quegli anni. Probabilmente avremmo perso comunque, ma credo che in un diverso contesto avremmo potuto far vedere qualcosa di differente.
Quella finale però non intacca il lavoro fatto, da un gruppo che andò oltre i propri limiti.
Nel suo libro ‘Il mio terzo tempo’ dice “Non ho mai imparato a perdere, ma forse, invecchiando, sono migliorato nella difficile arte del non vincere”. Quanto è stata dura superare quella sconfitta?
I miei unici rimpianti sono stati quelli di non vincere la Champions con la Juve e l’Europeo con la Nazionale. Facciamo tante battaglie per raggiungere i nostri obiettivi ed è ovvio che restiamo delusi se poi non riusciamo ad arrivare dove ci eravamo prefissati. Questa è la vita, un continuo allenamento per imparare a non vincere. Perché anche se arrivi in fondo, e il finale non è quello che ti aspetti, l’importante è il viaggio, non la meta. Tutto sommato, sono molto soddisfatto e grato del mio percorso nel calcio. Di aver realizzato il sogno di quando ero un bambino. Non mi sarei mai aspettato di poter raggiungere tanti traguardi e di vivere la mia avventura prevalentemente nella squadra in cui sono cresciuto e per cui facevo il tifo.
Rivede nel gruppo di Mancini un gruppo che può arrivare in finale?
Ho molta fiducia in questo gruppo giovane, talentuoso e con tanta voglia di far bene. Le competizioni così ravvicinate sono sempre una grande incognita e non so dire se arriveremo in finale, ma Mancini sta costruendo un qualcosa di molto importante con questi ragazzi. Sarà sicuramente un Europeo particolare, il primo che si disputerà in un anno dispari, a causa dell’Emergenza Covid. Non capiterà più di aver tanti impegni importanti così ravvicinati; credo che questo possa essere un vantaggio anche per l’affiatamento di un gruppo che si conosce bene e che sta creando delle basi solide.
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