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Alessandro D’Angelo, security manager della Juventus, è stato intervistato dai microfoni de La Stampa in merito all’inchiesta “Last Banner”, nata per portare alla luce i rapporti tra un gruppo di Ultras e la società bianconera. Ecco cosa ha dichiarato D’Angelo:
“Richieste continue, pressioni costanti, un numero spropositato di messaggi e chiamate a qualsiasi ora. Non posso dire di essermi sentito minacciato personalmente, ma sapevo che se non fossi riuscito a portare a casa il risultato ci sarebbero stati gli scioperi del tifo, sanzioni a carico della società e quindi di conseguenza anche il mio lavoro ne avrebbe risentito. La pressione era tale che chiesi di essere sostituito nel ruolo di addetto ai rapporti con la tifoseria. Sapevo che si sarebbe scatenata una serie di cose. Tra ultras e società c’era un patto di non belligeranza. Lo strumento era quello di cedere sulla vendita dei biglietti. Io non ho mai denunciato per inesperienza e paura.
Mi parlarono della vicenda Bucci, per me sensibile e dolorosa, e mi dissero che Ciccio aveva più piedi in più scarpe e che se la Juve avesse denunciato gli ultrà per estorsione, loro avrebbero tirato fuori un faldone con le registrazioni delle telefonate di Bucci. Fui colpito dalla terminologia: sembravano a conoscenza dell’indagine. A sentire la frase “più piedi in più scarpe”, pensai al fatto che fosse un ex ultrà, un collaboratore della Juve e della polizia, e che avesse contatti con i servizi segreti. O almeno questo venne fuori sui giornali. Ho un rapporto professionale e personale con Andrea Agnelli, che conosco da 40 anni. Per 42, mio papà ha lavorato per la famiglia, come uomo di fiducia. Quella sera mi preoccupai, come se fossero venuti a cercarmi a casa. Vivevo di un compromesso: cedere sui biglietti, per quanto sapevo fosse illecito amministrativo, per garantire una partita tranquilla”.