Intervistato per Sportweek, Walter Veltroni ha parlato di calciomercato. Il politico ha voluto dare la sua opinione su quanto accaduto recentemente per Juan Cuadrado e Romelu Lukaku. Il primo è passato all’Inter dopo essersi svincolato a fine stagione dalla Juventus; il secondo sembrerebbe disposto ad accettare il bianconero come destinazione dopo le parole di amore per i nerazzurri. Ecco cosa ha detto Veltroni sull’argomento: ““Pelé o Franz Beckenbauer andarono in America a fine carriera, come sta facendo Chiellini o come fa Messi. E questo lo capisco. Ma a ventisette anni, nel fiore della carriera, andarsi a murare in un campionato senza competizione, che senso ha? Non è contestabile il diritto di Juan Cuadrado di giocare con la storica rivale della Juve né quello di Romelu Lukaku di pensare di fare il percorso inverso”.
Per spiegare la sua tesi, Veltroni ha sottolineato la differenza tra il tifoso e il professionista: “Sono professionisti, loro. Ma il pubblico no. Il pubblico è un meraviglioso esercito di dilettanti che paga per divertirsi con il gioco più bello del mondo. I tifosi, specie quelli non professionisti, hanno un giocoso, quasi meravigliosamente infantile rapporto con la squadra per la quale hanno scelto, un giorno nella vita, di tifare. E hanno la memoria di elefanti, ricordano dichiarazioni, gesti, falli di ogni giocatore. Ma, come si fa tra ragazzi, sono anche pronti a dimenticarli al primo gol, alla prima azione ubriacante. Ma dimenticano, se dimenticano, perché provano un sentimento in primo luogo per la loro squadra. Il mercato segua le sue logiche, spesso ciniche e spietate, ma il calcio mantenga il filo della sua ragione di esistere. L’unica, vera”.
Oltre alla diatriba Juventus-Inter, il politico ha voluto dare una sua interpretazione sull’evoluzione del calcio ai tempi d’oggi. Ecco cosa ha detto: “La partita di calcio è, nel tempo di oggi, anacronistica. In una fase della nostra vita in cui tutto è velocissimo, il football impegna novanta minuti per volta per uno spettacolo che si svolge essenzialmente in mezzo al campo, fatto di passaggi e che solo, al massimo, una decina di volte produce l’emozione di un tiro nella porta avversaria. Tutto lento, non come il basket, la pallavolo, il tennis, sport in cui il tempo o il singolo punto si succedono con frenetica velocità. Terrei d’occhio questo elemento, fossi negli strateghi finanziari del calcio. I giovani non hanno per il football la stessa passione delle generazioni precedenti. A un certo punto, con i migliori che vanno a cercare il petrolio, i giocatori che sembrano dei commessi viaggiatori disposti a cambiare prodotto senza colpo ferire, les enfants du pays, quelli ai quali ci si affeziona di più, che non vengono utilizzati e valorizzati, il rischio è che il giocattolo si rompa. La maglia non è uno straccio. Non è una bandiera per la quale morire. Ma neanche uno straccio. Se si rompe il filo emotivo, se il gioco perde anima e sentimento, se diventa freddo come un algoritmo, il calcio rischia di farsi nero. Nero come il petrolio”.
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