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Juve, per Gianni Agnelli “un grazie lungo 100 anni”

Carlo Pranzoni

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La Juventus, tramite un comunicato sul proprio sito ufficiale, ha voluto ricordare l’Avvocato Gianni Agnelli, di cui oggi ricorre l’anniversario del centesimo anno di nascita:

“Quello che il popolo bianconero deve all’Avvocato è un grazie infinito.

Un grazie che passa attraverso vittorie, emozioni, entusiasmo.

Un grazie che ha dipinto decenni di storia della Juve, del calcio. Dell’Iindustria, dell’economia. Dell’Italia intera.

Un grazie che, proprio oggi, compie 100 anni.

Giovanni Agnelli, all’anagrafe Giovanni Francesco Luigi Edoardo Aniceto Lorenzo Agnelli, nasce esattamente un secolo fa.

Il 12 marzo 1921 l’Italia sta affrontando l’uscita da una Guerra che la ha segnata profondamente, e nemmeno sa ancora quanto la segnerà negli anni a venire. 19 mesi dopo Mussolini marcerà simbolicamente, ma nemmeno tanto, su Roma, e la Nazione diventerà gradualmente, ma nemmeno tanto, fascista.

Suo nonno si chiama come lui: Giovanni. E nel 1899 ha fondato la Fabbrica Italiana Automobili Torino. In una parola: FIAT.

Sono anni, quelli, nei quali Torino è sempre più il centro di un’Italia industriale e industriosa, e il fermento si vede a tutti i livelli: nel 1897, tanto per dire, alcuni studenti del Liceo Classico D’Azeglio si ritrovano su una panchina del centro, e danno vita a un progetto che sembra uno scherzo, un modo per passare il tempo e fare sport, per dare gambe alla loro gioventù.

Quel progetto si chiama Juventus. Gioventù.

Edoardo Agnelli, che di un Giovanni è contemporaneamente figlio e papà, si appassiona al club dalle maglie bianconere, e 1923 ne diventa presidente.

Il giovane Giovanni cresce quindi con quei colori nel cuore, in casa, nei pensieri e probabilmente nei suoi giochi di bambino. Gli anni della sua crescita sono quelli del Quinquennio d’Oro, dei cinque Scudetti consecutivi. Di una Juventus che diventa, per la prima volta, regina del calcio italiano.

Sono gli anni in cui nasce un binomio che è destinato a rimanere non solo sui libri di storia del calcio e dello sport, ma anche nei cuori e nelle anime di tutti noi: un rapporto d’amore infinito, che lega due colori, il bianco e il nero, e una famiglia.

Sono anche gli anni di gioventù per Giovanni, che però si interrompono bruscamente, troppo bruscamente, in una calda giornata dell’estate 1935. Edoardo è vittima di un violento, quanto inatteso, incidente, che lo strappa alla vita nel fiore dei suoi anni e lascia un giovane ragazzo quattordicenne senza il papà.

Ma il ragazzo ha forza, talento, voglia di esserci e di fare. Proprio al Liceo D’Azeglio – quando si dice i corsi e i ricorsi- si diploma nel 1938, e inizia a viaggiare, a conoscere il mondo. Un mondo che vive ancora un brusco stop, proprio in quegli anni, con il dramma di una seconda, terribile guerra. Lui la vive da dentro, nell’esercito, e nonostante questo riesce a laurearsi. In cosa? In giurisprudenza.

GIOVANNI AGNELLI, DAL 1942, È L’AVVOCATO.

La guerra finisce, e il mondo si apre davanti al suo futuro. Nel 1945 diventa Sindaco di Villar Perosa.

Ël Vilar ëd Perouza in piemontese, Ou Vilar in villarese, Lhi Vialars in occitano. Oggi Villar Perosa è considerata parte della Città Metropolitana di Torino, ma di “Metropolitano” ha proprio poco. Anzi, niente. Villar saluta la pianura e dà il benvenuto alle montagne della Val Chisone, una valle che va a terminare a Sestrière, mica per caso un’altra delle località amate da Agnelli e dalla Famiglia.

Ma Villar non era, ed è, solo “Amata”. Villar è casa, sotto ogni punto di vista: da quando, nell’800, quella bellissima villa settecentesca, appartenuta ai conti della Perosa è diventata la residenza estiva degli Agnelli, il legame è diventato indissolubile.

E lo sappiamo bene anche noi, popolo della Juve.

Il maledetto 2020 che ci siamo lasciati alle spalle ci ha impedito di vivere quello che ogni anno, per tutti, è il momento in cui tutto inizia.

L’amichevole in famiglia. Una tradizione che, a pensarci bene, è meravigliosamente anacronistica: una squadra che è un brand, che rappresenta come pochi altri l’Italia in Europa e nel Mondo, va a giocare in un campo, a cambiarsi in uno spogliatoio, che per 11 mesi l’anno è adatto a ospitare una partita del campionato di prima categoria, dove gioca la squadra locale.

Villar Perosa, e le montagne che la circondano, sono il centro di qualcosa che è solo Agnelli, e solo Juve: basti pensare alle foto di quella villa settecentesca, a quanti campioni si sono visti passare fra quelle mura e in quel giardino. Platini, Baggio, Del Piero, Ronaldo… E poi, tutti in campo, circondati (letteralmente, non metaforicamente) dal popolo bianconero che si regala una gita in montagna insieme ai suoi campioni.

Villar Perosa e l’Avvocato: un binomio che va oltre il tempo, se si pensa che proprio lì Giovanni Agnelli riposa, nella tomba di famiglia.

Ma oggi parliamo di vita.

IL RACCONTO PROSEGUE.

Il 22 luglio 1947, Gianni, ha 26 anni, compiuti da poco più di quattro mesi.

Il nodo fra la Juventus e la Famiglia Agnelli si rinsalda, e la Juve ha un nuovo, giovanissimo, presidente.

L’AVVOCATO RACCONTA…

Sotto la guida di Giovanni (questa sarà l’unica volta in cui ricoprirà questa carica, fino al 1954), la Juve vincerà due Scudetti, nel 1950 e poi ancora 2 anni dopo. C’è un nome che, in campo, scrive la storia bianconera di quegli anni: è il nome di Giampiero Boniperti. Novarese di Barengo, Boniperti ha solo 19 anni quando, nel 1947, proprio l’anno in cui Gianni diventa Presidente, esordisce con la maglia della Juventus.

Lo fa pochi mesi prima che la sua strada si incroci con quella dell’Avvocato: a marzo, in campionato, contro il Milan. Ma è l’inizio di un’-altra-leggenda straordinaria, che crescerà esponenzialmente negli anni di Presidenza Agnelli e si consacrerà nella seconda metà dei Cinquanta, quando “BonipertiSivoriCharles” diventerà una parola unica. Una specie di Hashtag, con cinquant’anni di anticipo.

Durante gli anni di Agnelli Presidente, il futuro Presidentissimo segnerà una media mal contata (per difetto) di 20 gol a stagione. Niente male per un ragazzino.

DALL’AVVOCATO AL DOTTORE.

I RICORDI DI UMBERTO AGNELLI

Dopo un anno di interregno, nel 1955 sarà Umberto Agnelli a prendere le redini della Juventus, a guidare il club in quegli anni straordinari di estro italiano, tango argentino e temperamento gallese, riassunti in quella parola unica che vi abbiamo anticipato prima.

BonipertiSivoriCharles.

Se Gianni sale alla Presidenza bianconera giovane, Umberto lo è ancora di più: sono ventidue anni ancora da compiere quelli che conta sulla carta d’Identità quando una giunta di soci – fra cui, ovviamente, l’Avvocato – lo elegge al ruolo più importante. Due fratelli, praticamente uno dopo l’altro, quindici anni totali di guida e un amore che diventa indissolubile, fra una famiglia e due colori.

Un amore e un legame che li porterà, successivamente, a essere Presidenti Onorari.

Quello stesso amore che continua ancora oggi.

Ma arriviamoci un po’ alla volta.

Un piccolo salto temporale ci porta al 1966: siamo ancora, sempre a Torino. Il 30 aprile Vittorio Valletta, un grande dirigente d’azienda italiano, che è nato in Liguria ma sotto la Mole ha costruito la sua carriera, all’età di 83 anni, decide che è giunto il momento di lasciare nelle mani dell’Amministratore Delegato (da 3 anni), ormai affermato nome dell’imprenditoria italiana la Presidenza della fabbrica più importante che ci sia in Italia, dopo 20 anni.

QUELLA FABBRICA È OVVIAMENTE LA FIAT. QUEL NOME È OVVIAMENTE GIOVANNI AGNELLI.

Quella che si racconterà nei decenni di Agnelli, Presidente e poi principale azionista del Gruppo, sarà non solo una storia aziendale. Sarà Storia, con la S maiuscola. Si tratta di decenni di vita di una città, di una Nazione e in alcuni casi del mondo.

Decenni nei quali l’Italia è al centro degli equilibri della Guerra Fredda, passa attraverso i terribili “Anni di Piombo”, nei quali il terrorismo, proprio a Torino, scrive alcune fra le sue pagine più tremende.

E Gianni è sempre li. Avversato, appoggiato, amato da alcuni e meno da altri, simbolo di un’Italia che lavora per alcuni, del potere per altri.

Decenni in cui la FIAT, come è fisiologico che sia in una storia così lunga, attraversa crisi e risalite, disegnando letteralmente il volto della città che la ospita. Torino vive dei ritmi della Fabbrica e dell’Azienda, “Mamma Fiat” dà lavoro e casa ai suoi lavoratori, che direttamente o indirettamente, con lei e attraverso lei organizzano le loro vite, fanno progetti, realizzano sogni, portano avanti le loro migliaia di storie famigliari.

Realizzano sogni, anche sportivi. Torino ha due grandissime anime calcistiche: una bianconera e una granata. Anche loro, queste anime in contrapposizione, in anni che, nel decennio dei ’70, diventeranno straordinari nella loro rivalità, girano in qualche modo intorno al mondo della Fiat e alla figura di Gianni, che della Juve è Presidente Onorario. Troppo semplice dire: “lo ami, sei Juventino, non lo ami, tifi Toro”.

C’è qualcosa di più: Torino nei decenni diventa una città brulicante di passione, che la domenica si ferma davanti alle radioline. Nel 1976 è Capitale d’Italia del pallone: quello Scudetto lo vince il Toro di Pulici e Graziani, e a soli due punti c’è la Juve di Bettega e Anastasi.

Una Juve che proprio nei Settanta, dopo qualche anno più complicato, è tornata ai vertici del calcio italiano, e che sta preparando il terreno per un’epoca di incredibili vittorie non solo in Italia, ma anche – e finalmente – all’estero.

E qui si riannodano quei fili della prima esperienza bianconera dell’Avvocato. Quei fili che lo legano a Giampiero Boniperti.

Già, perché dal 1971 la Presidenza bianconera è proprio nelle mani di Boniperti, che in 20 anni (fino al 1990) guiderà, in autonomia, ma con Agnelli sempre al suo fianco, la Juve a vincere tutti i trofei internazionali che sarà possibile vincere.

Sono anni memorabili, che ogni tifoso che abbia qualche decade alle spalle ricorda ancora adesso con un brivido. Nel 1977 la Juve si lascia alle spalle la delusione di uno Scudetto lasciato ai “cugini” l’anno prima e, da Signora d’Italia, comincia a diventare Signora d’Europa.

Coppa UEFA, Coppa delle Coppe, ma per fare il trittico delle meraviglie ne manca una, la Coppa dei Campioni. Sfiorata nel ’72 ma persa, inchinandosi all’immenso Ajax di Johann Cruijff, assaporata da grandi favoriti, ma ancora una volta lasciata andare al largo del mare di Atene, per quel maledetto gol subito dopo soli 9 minuti, quella sera del 25 maggio 1983. Un gol irrecuperabile, per una delusione che dalla Grecia viene trasmessa in diretta sui teleschermi di tutti i tifosi italiani. In molti non ci dormono, quella notte.

Le bandiere con la Coppa, le torte, le auto (quasi tutte FIAT, ça va sans dire), già pronte e dipinte di bianconero, per un carosello lungo una notte.

Un carosello che non si farà mai.

Un carosello che tutti si aspettano di poter replicare solo due anni dopo, il 29 maggio del 1985. La Juve, con merito, è di nuovo lì, in Finale. A Bruxelles la Sfida delle Sfide è pronta. Juve-Liverpool, una partita già giocata in un campo innevato e con un pallone rosso pochi mesi prima al Comunale, perché nel frattempo la Juve aveva vinto la Coppa delle Coppe e il Liverpool la Coppa dei Campioni battendo la Roma in una sequenza di rigori che all’ombra del Cupolone fa ancora male.

ANNI ’80: “QUAL E’ IL SEGRETO DELLA JUVE, AVVOCATO?”

Supercoppa europea, quindi, risolta da un gol di Boniek: quale preludio migliore per la Finale più attesa.

Una Finale che però si gioca nel peggior contesto possibile: uno stadio inadatto, una situazione di ordine pubblico fuori controllo e da giorni, una bomba innescata che deflagra in quel maledetto settore Z, un paio d’ore prima dell’inizio della partita.

Quello che accade quella sera lo sappiamo tutti. Agnelli è in tribuna all’Heysel, se ne va anzitempo, senza vedere che poi, nonostante, o proprio in segno di rispetto a quelli che lui stesso definirà “i nostri caduti”, che saranno 39, la partita si giocherà.

La partita si gioca, la Juve la vince. Ma anche nel 1985, quel carosello, non si farà. Quel 29 maggio diventerà per sempre un giorno di ricordo, che è costantemente, incredibilmente vivo in tutti noi.

Alla fine, quella Coppa, l’Avvocato farà in tempo a vederla sollevare, pochi anni prima del suo addio alla vita terrena: la alzerà uno dei suoi pupilli di quegli anni, Gianluca Vialli, capitano di una Juve che trionfa a Roma nel 1996, e in squadra con lui c’è Alessandro Del Piero.

Pinturicchio.

I SOPRANNOMI.

Ci sono dei dettagli che più di altri identificano la grandezza di un personaggio. Senza dubbio, uno di questi, per l’Avvocato, è stato la capacità di inventare un nome, di rispondere con una frase velocissima, di vergare pensieri apparentemente leggeri e sarcastici ma sempre carichi di una potenza straordinaria.

AGNELLI NON HA MAI SAPUTO ESSERE BANALE.

L’Avvocato è il vezzo dell’orologio sul polsino: lo portava con una classe incredibile. L’Avvocato è l’uomo delle telefonate a giocatori e allenatori a ore improponibili: chi le riceveva ne è sempre stato onorato. L’Avvocato è la frase a mezza bocca, magari in risposta a una domanda lunghissima. L’Avvocato è il soprannome, prima che nascano i nickname. Sivori è il Vizio, Vialli Michelangelo, Boniek è Bello di Notte, Baggio è Raffaello, Lippi il più bel prodotto di Viareggio dopo Stefania Sandrelli.

EMOZIONI BIANCONERE

L’avvocato è una storia di legami, di rapporti, di campioni, di calcio e non solo, di made in Italy che diventa made in the world. E’ una storia nata 100 anni fa che non ha eguali, e che difficilmente ne avrà in futuro.

Una storia italiana, mondiale, sportiva, calcistica. E tanto, tanto bianconera.”

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