In una lunga lettera pubblicata sul sito ufficiale della Juve, Claudio Marchisio ha parlato delle tre più grandi paure nel corso della sua lunga carriera: “La paura più comune è quella con cui tutti abbiamo dovuto fare i conti, quella che ti attanaglia quando i risultati non arrivano. Ricordo, in particolare, gli anni dei settimi posti. Ci guardavamo negli occhi ed eravamo tutti grandi giocatori, chi membro della propria Nazionale, chi campione del mondo. C’erano grandi talenti, eppure… Ti ritrovavi, così, a chiederti quando ne saresti uscito fuori e cosa potessi fare tu come singolo per aiutare il gruppo a ritrovarsi. Queste situazioni vanno affrontate con calma, a volte basta una scintilla, anche una partita magari vinta giocando male, ma dove hai tirato fuori lo spirito di squadra può permettere di iniziare a mettere qualche mattoncino su cui costruire la ripresa. Da queste paure superate possono, poi, nascere i gruppi vincenti“. (…)
“Sei solo. Tu su un lettino mentre, intorno a te, quello che è il tuo mondo va alla sua folle velocità tra allenamenti e partite. Lo spogliatoio va a un altro ritmo, mentre tu devi rallentare per ritrovarti. Nella quotidianità sei abituato ad affidarti ai compagni, allo spogliatoio, ma all’improvviso ti rendi conto di dover combattere da solo. Queste sono le prime sensazioni che ti fanno compagnia quando ti ritrovi ad affrontare un lungo infortunio. Gli infortuni fanno parte della carriera di un giocatore, capitano, ma questo non li rende più facili da affrontare. In quei momenti penso che a darti la forza possa essere la famiglia. C’è quasi un ricongiungimento naturale, loro ti aiutano, possono andare alla tua velocità. Le persone care sono quelle che in questi momenti ti permettono di assorbire ogni paura”. (…)
“Sapete qual è, però, la paura più grandi di un calciatore? Smettere di essere un calciatore. Il ritiro è un momento estremamente complesso da gestire. C’è il rischio del crollo emotivo, sai che l’adrenalina che ti fa vivere il calcio non la vivrai mai più, a prescindere da quello che farai dopo. Io, dal mio punto di vista, penso di essere stato fortunato. Mi ero preparato a quello che sarebbe successo, sapevo che, una volta finito quel percorso, ne avevo già un altro pronto da intraprendere. C’è una cosa, che, però, mi ha stupito: non mi aspettavo di essere ancora così tanto tifoso. Io nasco da una famiglia juventina, quindi la mia passione per la Juventus era viva a prescindere dal mio percorso. Quando diventi un calciatore professionista, anche se giochi nella tua squadra del cuore, ovviamente vivi le cose in maniera diversa. Ora, invece, ho ripreso a viverla davvero da tifoso. Non pensavo il tifo sarebbe esploso di nuovo così. È bellissimo”.
(juventus.it)
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