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Juve, Danilo: “Dobbiamo combattere il razzismo, siamo punti di riferimento”

Danilo è un punto di riferimento della Juventus ma il suo impatti non si limita soltanto al campo. Il brasiliano, anche scelto come vincitore per un premio alla solidarietà, lotta in prima battuta contro le forme di discriminazione e razzismo. Ospite di Sulla Razza, un podcast che tratta la tematica della discriminazione sociale, si è espresso in merito al tema del razzismo.

“Volevo ringraziarvi, quando mi hanno dato questa possibilità ho accettato subito. Il tema del razzismo in pochi lo trattano con serietà e professionalità come fate voi”, si apre così l’intervento di Danilo. “Ho appena finito di leggere il libro di Viola Davis, s’intitola ‘Finding Me’, se non l’avete letto fatelo. Lei racconta le sue esperienze di vita ma anche le sue sofferenze per il razzismo, questo significa che non è tipico solo dello sport ma di chiunque. Di questo si deve parlare, delle esperienze vissute. Questo libro mi ha permesso di capire molto, mi ha fatto riflettere sul tema. Il razzismo ogni tanto non è così esposto, è nascosto, non lo vediamo subito. Poi si riflette e guardando bene si nota che è sempre in agguato, noi dobbiamo combatterlo”.

Una lotta a forme di discriminazione che sono ancora protagoniste nello scenario contemporaneo. Danilo ricorre ad un filosofo per spiegarne le dinamiche sociali. “C’è un filosofo-scrittore brasiliano che si chiama Mario Sergio Cortella che tratta tante questioni, anche del razzismo e del pregiudizio razziale. Lui dice una cosa che mi è rimasta in testa: ci sono delle cose che sono naturali che abbiamo addosso da quando siamo nati, poi delle cose normali, cioè nella norma della società. Poi le cose abituali che non sono giuste o sbagliate, però rimettono alla frequenza con cui succedono. Il razzismo non è naturale e normale, ma abituale in questo momento. Ci sono piccole aggressioni che le persone commettono e non sanno neanche che stanno commettendo. Altre sono in maniera incisiva. Bisogna essere più cattivi nell’approcciare la situazione con chi fa aggressioni incisive e in maniera volontaria”. 

“C’è differenza tra sentire e ascoltare” – prosegue Danilo. “I bianchi ti devono ascoltare e avere l’empatia, devono capire che abbiamo sofferto ed imparare, non dare un giudizio. Sempre secondo Cortella, sono un suo fan, un pregiudizio che sia razziale o di genere è un cancellamento del senso critico. Chi commette un’aggressione o un pregiudizio razziale perde l’opportunità di imparare. Io seguo sempre questa linea, il percorso di crescita è importante per tutti noi”.

E offre un passaggio anche sulla sua esperienza vissuta“Mio papà è nero, la mia famiglia è nera. Mi diceva sempre che dovevamo vestirci e comportarci in un certo modo e che non potevamo fare questo. Sono cresciuto così, poi ho imparato, non è che lui sbagliasse ma in quel momento era così, a volte bisogna un po’ nascondere la propria diversità”.

“Siamo quattro fratelli maschi, io sono il più grande. Il più giovane ha 23 anni e la pelle bianca ma ha i capelli neri, è un difensore di tutto questo discorso sul razzismo. All’inizio i miei genitori lo guardavano e gli chiedevano dove andasse con questo capello, poi hanno iniziato a guardarlo in maniera diversa. La loro generazione secondo me è troppo aggressiva. Per parlare con i nostri genitori dobbiamo avere un certo modo di parlare, così veniamo capiti meglio, dobbiamo iniziare ad introdurre, piano piano loro stanno capendo. Non è facile parlare con loro perchè vengono da tanti anni di sofferenze legate al razzismo”.

Il brasiliano ha poi espresso la sua opinione sul tema dell’appropriazione culturale. “Se riflette bene non è brutta. Però bisogna capire il valore di quella cosa per le persone. La capoeira in Brasile è comune ma non tutti sanno che è stata inventata dagli schiavi che provavano a fuggire e loro provavano a prenderli, la capoeira era una tecnica di difesa. Questo va detto, perché per noi è parte di storia, mentre la gente la pratica senza conoscerne il significato. Pensate che fino al 1937 in Brasile era proibita, vista come una cosa brutta. Invece è un’arte. Secondo me l’appropriazione culturale va nella linea di educare e motivare le persone a conoscere la storia di quello. Per noi sarebbe un grande step di conoscenza di storia e cultura.”

Il razzismo è presente anche nel mondo del calcio“Si può vedere da diverse prospettive ma è razzismo e basta. Nel calcio ci sono situazioni che succedono spesso e noi (intendo tutti coloro che sono nel calcio) aspettiamo di arrivare ad un livello irraggiungibile per agire. Secondo me quello è ciò che si deve cambiare. Si agisce dopo sei mesi, invece no: bisogna agire subito. Non si può avere una comfort zone perché le cose non cambiano”.

Un discorso che non riguarda soltanto l’Italia ma tutto il mondo“Parlavo in generale, non in Italia. Qui succede spesso ma capita ovunque, si aspetta troppo ad agire, a intervenire. Io non capisco siamo veloci a fare un post su Instagram ma poi ognuno va per la sua vita, non approcciamo nella maniera giusta. Capisco non sia facile trovare la strada giusta per combatterlo perchè se succede a me un episodio di razzismo io fatico a pensare a dove devo andare, con chi devo parlare e cosa devo fare. Questo va chiarito con chi soffre il razzismo. Bisogna rendere più facile l’accesso al come agire in queste situazioni”.

Il suo ruolo nelle campagne di sensibilizzazione sul tema è sempre in prima linea“Parlare è importante, siamo punti di riferimento. Così chi non ha tanta voce guarda e vede che parliamo di una causa che ci rappresenta, che per me è importante. Quello ci da il coraggio. Parlando sempre di Viola nel suo libro lei racconta che a 6-7 anni ha guardato in tv una presentatrice di colore e in quel momento lì nella sua testa è scattato qualcosa che le permetteva di dire che poteva essere ciò che voleva. Secondo me è in questa direzione che si deve andare”.

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