In una Juventus alla ricerca di una propria identità in questo inizio di stagione, gli argomenti sono tanti. Uno di questi è l’inserimento e l’utilizzo dei giovani. Per parlare di questo, La Gazzetta dello Sport ha intervistato Franco Causio. Il Barone ha ricordato il periodo dei suoi esordi con la maglia bianconera: “Io, Bettega, Capello, Spinosi, Landini. Eravamo in prestito, il club ci ha richiamò perché c’era stato un ribaltone e l’Avvocato aveva affidato la squadra a Boniperti e Allodi. Un rinnovamento totale con un nuovo allenatore, il povero Picchi“.
Rispetto ad allora il calcio italiano è cambiato molto e ora ci sono molti stranieri: “La situazione è molto diversa. Non c’erano stranieri, oggi rabbrividisco quando leggo che in A sono quasi il 70 per cento. In B e C non c’è gente peggiore, molti stranieri potrebbero restare a casa. Poi c’era un serbatoio storico, l’Atalanta, e una strategia intelligente: un giovane all’anno, da inserire in un blocco consolidato“.
In quel periodo la Vecchia Signora inserì gradualmente in squadra dei giovani che poi sarebbero diventati dei grandi campioni: “Il primo fu Gentile, nel 1973. Poi Scirea l’anno successivo, quindi Tardelli, Cabrini, Fanna… Ma nessuno arrivava con il posto di titolare, lo conquistavano per meriti. Però si vedeva che Gai era un campione: nell’Atalanta faceva il centrocampista e mi aveva marcato bene”.
Dall’evoluzione tattica alla gestione della preparazione e degli allenamenti, la Juve era all’avanguardia: “Avevo l’8, sono diventato un 7 prendendo il posto di Haller. Gentile è arrivato per Spinosi, Cabrini per Cuccureddu, Tardelli per Marchetti. Si preparava il futuro. Poi siamo diventati campioni del mondo. Facevamo tirocinio, imparavamo. In panchina prima Vyckpalek, poi Parola, infine Trapattoni. La Juve dei 51 punti se la giocherebbe con chiunque. Se penso ai giocatori monitorati oggi ogni secondo, al personal trainer, all’alimentazione… Ma anche noi eravamo avanti per l’epoca“.