Giocare nel proprio Paese la finale di Champions è un’occasione quasi unica nella vita.
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L’ex calciatore della Juventus Joao Cancelo, fresco Campione d’Inghilterra con il Manchester City, ha parlato intervistato dai microfoni de La Gazzetta dello Sport.
Giocare nel proprio Paese la finale di Champions è un’occasione quasi unica nella vita.
“È un traguardo che mi riempie d’orgoglio: vivere l’atto conclusivo di una manifestazione di questo valore, di fronte alla mia gente e alla mia famiglia, ma a questo punto non basta scendere in campo: bisogna pure vincere. Con il Chelsea sarà una splendida sfida, contro un avversario affrontato tre volte negli ultimi cinque mesi e con il quale a Londra disputammo una delle migliori partite della stagione. Poi sono arrivate le due sconfitte, in FA Cup e nel ritorno di campionato, ma ogni volta si apre e si chiude un capitolo. Ora avanti con il prossimo”.
Previsioni?
“Immagino che ci sia equilibrio. Quando due squadre arrivano alla finale di Champions, non possono esserci valori sbilanciati. Ci sarà da lottare e da soffrire”.
Le due sconfitte recenti possono aver insegnato qualcosa al Manchester City?
“Ribadisco il concetto: ogni match ha una sua storia. A questi livelli poi c’è poco da scoprire. Semmai, la cosa più importante è rispettare le proprie prerogative di calcio. Ogni squadra ha un’anima, un copione preferito, una sua natura: seguire le linee guida è la strategia più semplice”.
Che cosa significa avere un allenatore come Pep Guardiola, un’eccellenza capace di creare ottime orchestre e di vincere in modo quasi seriale?
“Guardiola è un perfezionista, sofisticato nella cura dei dettagli. E’ una fonte continua di informazioni per i giocatori. Lavorare con lui significa migliorare giorno dopo giorno. E’ uno stimolo continuo, ha energie inesauribili e devi dare sempre il massimo per reggere il suo ritmo, ma i risultati premiano gli sforzi di ciascuno di noi”.
Due stagioni in serie A, prima all’Inter e poi alla Juventus, tra il 2017 e il 2019: che ricordi ha dell’Italia?
“Il vostro Paese mi ha segnato in modo positivo. E’ stato un onore per me non solo giocare a calcio, ma anche confrontarmi con la vostra cultura. Il popolo italiano è umile e lavoratore, sotto certi aspetti simile a quello portoghese”.
Un anno all’ombra di Massimiliano Allegri: che rapporto ha avuto con lui?
“Allegri è una delle persone più importanti della mia carriera. Ho avuto modo di apprezzare non solo l’allenatore, ma anche l’uomo. E’ una persona diretta, che dice le cose in faccia. Con lui il confronto è sempre leale. Gli devo davvero molto”.
Parlare della Juventus significa evocare il nome di Cristiano Ronaldo.
“Mi limito a parlare del calciatore e di quello che rappresenta per la mia nazione: un patrimonio e un esempio di professionalità. Giocare con lui in nazionale è un privilegio”.
Il calcio portoghese da diversi anni riesce a produrre talenti in quantità industriale. Nel City siete in tre, con Ruben Dias e Bernardo Silva.
“Abbiamo una solida base tecnica. Nelle accademie si dà ancora estrema importanza alla cura dei fondamentali e poi ci portiamo dietro la cultura del nostro Paese. Le sfide complicate non ci spaventano”.
Non avete in genere problemi d’integrazione e controllate senza problemi la saudade.
“Anche questa è una caratteristica della nostra natura. Siamo un popolo di viaggiatori. Esploriamo il mondo senza paura, ma poi torniamo sempre alle origini”.
Come si immagina il punto finale della sua storia?
“Vorrei chiudere al Benfica. E’ la squadra dove ho cominciato a fare sul serio e il club per il quale tifo da sempre. Sono benfichista nell’animo. Un giorno spero di tornare a indossare quella maglia. Ora mi godo il Manchester City”.
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