In una lunga intervista concessa a GQ, Gianluigi Buffon ha parlato dei suoi progetti per il futuro:
“Dove mi vedrete sinceramente non ne ho ancora la più pallida idea, anche se tutto mi porta a uscire dall’Italia, perché alla fine l’esperienza di Parigi per me è stata bellissima, mi ha arricchito calcisticamente e umanamente, mi sono sentito una persona migliore. E poi se voglio continuare a progredire come uomo devo cercare di fare un altro tipo di esperienza che non sia in Italia, perché già solo l’idea di imparare un’altra lingua, venire a contatto con altra gente e superare difficoltà di qualunque tipo, sono tutti step che ti danno tanta sicurezza. E io sento che sto bene quando capisco che faccio qualcosa per migliorarmi come persona e non solo come calciatore.
Al mio procuratore ho detto di non guardare nel nord Europa perché non è uno dei miei desideri. È qualcosa che escludo a priori. Parma? Non lo so perché di loro non ho sentito nessuno. Prima di tutto devo vedere se continuerò a giocare, perché ho detto che mi sarei preso venti giorni, poi in piena serenità deciderò se continuare e dove, o se smettere, perché sono abbastanza appagato dalla mia carriera che non ho bisogno di fare qualcosa in più, a meno che non me lo senta dentro fortemente. Sicuramente Parma e Juve sono le uniche squadre in cui potrei giocare in Italia, però se voglio qualcosa che mi possa fare crescere come persona, questo qualcosa me lo può dare solo l’estero.
Penso che finire la storia con la Juve fosse la cosa più giusta perché dopo 20 anni a questo livello e un rapporto di totale stima reciproca, credo che un giocatore come me non potesse stare in un posto con un determinato ruolo, come quello che ho avuto negli ultimi due anni, senza avere la motivazione per poterci stare dando il massimo. Alla fine del primo anno e mezzo con molta lealtà ho detto alla Juve che non avrei rinnovato. Ora ho ancora voglia di sentirmi vivo, ho stimoli e fisicamente sto bene, quindi è giusto che provi o un’altra esperienza all’estero o un altro anno da protagonista da qualche parte.
Nel momento in cui la Juve è andata in Serie B e mi sono trovato a parlare con i dirigenti e mi dissero: “Guarda Gigi, ci sono queste opportunità”, la mia risposta, che credo li spiazzò, fu: “Ma l’idea di restare non c’è? diventa complicato?”, e mi ricordo che loro rimasero veramente sorpresi e risposero: “No, no, cavolo, se ci dici che vuoi restare ci fai un grande piacere” e allora sono restato. Alla fine sono sempre stato attratto fin da piccolo dalle imprese eroiche, l’epica e i miti greci, e capisci che i trofei o i riconoscimenti personali sono importanti, però riuscire a coniugare i successi e la stima dando dei segnali veri lo è altrettanto. Scelte che avrei potuto pagare in prima persona, perché io in quel momento avevo 28 anni, ero all’apice della mia carriera e ho deciso per dei valori in cui credo e per i quali mi va di battermi, di uscire dal radar europeo per due o tre anni. E non so in quanti lo avrebbero fatto. E poi c’è un’altra cosa, che non tutti sanno: in quella stagione lì, per dare un’ulteriore mano alla società mi sono tolto anche 500 mila euro di stipendio. Per me è il segnale la cosa importante: non è che io rimango in Serie B e voglio anche più soldi. No, io rimango in Serie B e mi tolgo dei soldi, il massimo della coglionaggine, ma è bello sentirsi coglione quando credi in qualcosa, e lo fai con la convinzione che è la cosa giusta.
Lo scudetto dell’Inter non mi ha stupito, perché conosco alla perfezione Antonio Conte e il suo credo. Nel momento in cui un giocatore decide di seguirlo con convinzione, e non credo che ci sia altra scelta perché o lo segui con convinzione o sei fuori dal progetto (ride, ndr), in un periodo lungo come i dieci mesi del campionato hai tante possibilità per poter vincere, e la conferma l’abbiamo avuta. Sicuramente credo che Mou faccia bene a una piazza come Roma e ai media, perché anche loro hanno bisogno di personaggi istrionici come lui. E poi ha un’esperienza e dei rapporti tali che secondo me possono diventare un valore aggiunto per Roma come società e come squadra. Zlatan non sorprende, perché lo conosco da 20 anni e so perfettamente cosa pensa, qual è il suo approccio al lavoro e la sua determinazione. Io non sono sorpreso da determinati giocatori, tra i quali mi ci metto anch’io, che nonostante l’età riescono ancora a essere un valore aggiunto. Perché poi non è che andiamo in campo e sventoliamo la maglia, andiamo in campo e succede sempre qualcosa che non è usuale vedere. Questo significa che la nostra longevità è un valore per il tipo di professionalità o per il fisico che abbiamo, ma anche perché probabilmente abbiamo una testa diversa dalla media dei professionisti”.L’estremo difensore, infine, si toglie un sassolino che sembra un macigno.
In Italia vedo che c’è la difficoltà nell’accettare che qualcuno abbia qualcosa di diverso dagli altri, in positivo. Parlando del mio caso, ma potrei dire lo stesso di Ibrahimovic, da quando ho 35-36 anni sento dire: ‘È vecchio, chi sarà il sostituto…’. Invece, anziché tutte queste chiacchiere, se uno dicesse che nella vita c’è chi riesce a fare meglio una cosa, che siamo di fronte a dei casi che sono delle eccezioni? Ogni tanto bisognerebbe riconoscere questa cosa senza per forza fare sempre la polemicuccia da due lire e aspettare che Buffon faccia qualche errore per dire che è vecchio o perché non ha smesso prima. Siamo poco propensi a riconoscere il merito di qualcun altro, abbiamo sempre qualcosa che ci dà fastidio, perché lui sì e io no, perché a 43 anni io sono sul divano con una pancia così e lui è là a fare la differenza. Questa cosa non viene accettata, e la trovo molto limitante”.
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