Sofia Cantore, attaccante del Sassuolo, ma sotto contratto con la Juventus Women, ha rilasciato delle dichiarazioni a IlBiancoNero.com, parlando di diversi temi. Ecco le sue parole sul professionismo e sui commenti negativi: “Secondo me un punto di partenza. Sono molto felice perché poter dire che essere una calciatrice è il mio lavoro è sempre stato il mio sogno. Ci sono ancora degli aspetti da definire e sono curiosa di capire ciò che effettivamente sarà. Il mio timore è che per alcune società sia economicamente insostenibile, ma lo vedremo in futuro. Penso però che a persone che fanno commenti del genere non si debba rispondere. Aspettano solo una reazione ed è meglio non reagire. Purtroppo questo continuerà, spero però che la gente prima o poi capisca quello che effettivamente sarà il professionismo per noi.”
Sul Mondiale: “Dopo che salto l’Europeo il Mondiale è un sogno enorme. Non voglio più pensare troppo a qualcosa. Credo fortemente che tutto accada per una ragione e penso che sia successo perché in quel momento stavo vivendo il calcio in maniera quasi ossessiva. Non vedevo mai il bicchiere mezzo pieno perché pretendevo sempre più da me stessa, ero sempre focalizzata sul futuro. Questo infortunio mi sta insegnando che devo cambiare punto di vista e viverla con serenità. Certo si deve sognare, però non troppo.”
Sul rapporto con Arianna Caruso: “C’è stato un raduno di 64 ragazze a Coverciano, avevo credo 15 anni. Il tecnico era Enrico Sbardella. La prima volta che ho visto Caruso è stato questo evento. Io non avevo mai fatto un raduno della nazionale e nemmeno Benny. Arrivate a Coverciano eravamo imbarazzatissime perché non conoscevamo nessuno. Mi ricordo che avevamo visto Caru che parlava con Santoro e altre ragazze. La prima impressione era che fosse davvero antipatica. Non mi ricordo poi bene come siamo diventate amiche, penso che sia partito da Benny che aveva giocato in squadra con lei. Quando poi siamo arrivate a Torino abbiamo vissuto un anno a convitto insieme e un anno in casa. Il primo anno in convitto addirittura vivevamo nella stessa camera.”