L’Head of Juventus Women Stefano Braghin, ha parlato intervistato dai microfoni di Tuttosport del progetto Women dei bianconeri, e dei margini di crescita delle ragazze di Montemurro e del movimento calcistico femminile: “La percezione è quella di un movimento in crescita dal punto di vista dell’interesse nella società: l’Italia, d’altronde, è un Paese di calcio e quindi, quando si fa una bella proposta di calcio, c’è sempre un ritorno. L’ingresso dei club professionistici e il Mondiale del 2019 in un’estate orfana di eventi calcistici hanno un po’ sdoganato il prodotto calcio femminile e rispetto ad altri Paesi, sotto questo aspetto, siamo agevolati perché nel tessuto sociale italiano il calcio ha una grande rilevanza”.
“Siamo vicini a un punto di svolta: il professionismo è una grandissima opportunità dal punto di vista delle tutele delle ragazze, che oggi sono professioniste di fatto ma non hanno ancora lo status, una situazione che va assolutamente risolta e dal 1° luglio lo sarà. Il passaggio è molto delicato, perché deve essere sostenibile sia livello normativo, sia di costi. Se si cala il modello maschile, che ha un secolo di storia e una montagna di ricavi, temo che il masso possa schiacciare il sistema. Quindi siamo contenti che il professionismo sia alle porte, ma dobbiamo fare attenzione che non diventi un problema. Non si può far fare a un bambino l’università, bisogna accompagnarlo”.
“Alla Juve siamo un po’ più avanti di dove si pensava e questo per merito delle ragazze, che sono migliorate più velocemente rispetto ai parametri disponibili quando ho iniziato. Si spiega con la dedizione assoluta al lavoro che tutte le giocatrici hanno dimostrato, sono sempre un passo avanti ai ragazzi. Parallelamente, il club ha messo a disposizione tutti gli strumenti necessari, basti vedere il centro sportivo. La Juve ha messo la benzina, sta a me rincorrere il progetto“.
“La scelta di Montemurro è stato frutto di un ragionamento: abbiamo raggiunto un apice del nostro percorso e adesso serve provare a fare le stesse cose in un modo diverso, con un modello di gioco che arrivi dall’Europa. Lo stadio? Quando si discute dell’area sport in generale è un tema sentito, spesso messo sul tavolo. Un argomento mai chiuso, ma rallentato dopo la pandemia. C’è nell’agenda perché rappresenta un’esigenza, non solo nostra, ma anche dell’Under 23. E le ragazze avranno il privilegio di giocare due gare di Champions all’Allianz. La vicinanza del club? La Juventus Women è un brand del club, io ho la percezione quotidiana di quella vicinanza che c’è stata sempre nei momenti positivi e in quelli negativi che comunque ci sono stati, anche più di quelli che voi avete percepito. E per questo è stata brava la società”.
“Il campionato? L’ho detto sin dall’inizio, per me insieme a noi ci sono Milan, Roma e Sassuolo candidate allo scudetto. Abbiamo un 25% di possibilità ciascuna. Il Sassuolo magari non ha nomi altisonanti, ma è un’ottima squadra guidata da un grande tecnico come Piovani: il lavoro fatto con Lenzini lo dimostra”.
“Adesso noi abbiamo solo più gruppi selezionati con 180 bimbe tra vivaio e scuole calcio associate. Ricordo che nel 2015, quando ci è stato imposto l’obbligo di creare un settore giovanile e tesserare almeno 40 ragazze, abbiamo organizzato un open day a cui si sono presentate tre bambine, di cui una in infradito. Sembra una vita fa, oggi è cambiato l’atteggiamento delle famiglie, adesso le bambine hanno le calciatrici come idoli: vogliono diventare come Bonansea e comprano la sua maglietta allo store. Una bambina che tifa Juve sa che un giorno potrà giocare nella Juve. Il femminile è un moltiplicatore enorme per numero di tesserati e tocca certe aziende e certi messaggi sociali. Pensiamo a cosa si poteva dire di Lina Hurtig e di sua moglie 10 anni fa: adesso i tifosi le preparano il corredino per la bimba”.