TORINO- Durante un evento Randstad svoltosi all’Allianz Stadium, Miralem Pjanic ha raccontato la propria carriera, partendo dai primi passi fino ad arrivare alla Nazionale.
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“Per me fare il calciatore è sempre stato un sogno. Da 8/9 anni in poi, in cui realizzavo che ero un pochino più bravo degli altri, non desideravo far altro se non giocare a calcio. La strada è stata lunga. Il primo passo è stato andare via di casa: il Metz mi era entrato nel cuore e sapevo fosse la scelta giusta. Mi facevano sentire come a casa ed è stato importante per me. Vedevo i miei genitori ogni weekend e il sabato dopo le partite tornavo a casa. Poi a 17 anni ho iniziato a giocare in prima squadra. Bosnia? Siamo andati via per la guerra. Abbiamo pianto perchè ci lasciassero andare e alla fine, per pena, ci hanno dato i documenti per il Lussemburgo. Mio papà lavorava la mattina, poi giocava a calcio e per me è sempre stato un esempio, l’ho sempre seguito con ammirazione. Non ci ha mai fatto mancare nulla. Saprò sempre da dove vengo, non dimenticherò la strada che ho fatto per arrivare qui. Nazionale? Sul lato sportivo la scelta migliore sarebbe stata la Francia. Il ct mi aveva chiamato dicendomi che era interessato, però poco prima anche la Bosnia mi aveva chiamato e ho dato la priorità alla mia Nazione. Io già a 17 anni avevo già scelto di giocare per la Bosnia, quindi ho detto al ct francese della mia scelta. Un orgoglio poter indossare la maglia della Bosnia. Oggi il calcio è sempre più veloce e per essere al top in una grande squadra devi avere grandi qualità tecniche e voglia di migliorare ogni giorno. Se dovessi consigliare qualcosa a un giovane che inizia, direi che il riposo e cosa e come mangi è molto importante nella vita di un professionista. Stare ogni tre giorni sul campo necessita di stare bene fisicamente e di testa, perchè devi sempre farti trovare al meglio quando c’è bisogno di te. Non sono il più veloce e non facco nemmeno giochetti. Io provo a giocare semplice, questa è la mia caratteristica. Ho lavorato sopra i miei punti forti per migliorarli. Mi piacciono i giocatori che riflettono molto in campo, che ti comunicano con un semplice sguardo quello che vogliono fare. E alla Juve ne ho molti di compagni così. Allegri? Gestire 24 persone dentro un gruppo non è semplice e lui è stato eccezionale nel farlo. Per un allenatore questo è complicato ma è anche fondamentale se si vuole vincere con continuitàe lui ha sempre svolto molto bene questo compito”.
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