Marchisio: “Il giorno dell’addio alla Juve ho realizzato i miei sogni. Ho ricevuto minacce di morte”

Marchisio: “Il giorno dell’addio alla Juve ho realizzato i miei sogni. Ho ricevuto minacce di morte”

L’ex centrocampista si è raccontato a Vanity Fair

TORINO – L’ex centrocampista della Juve, Claudio Marchisio si è raccontato ai microfoni di Vanity Fair, dove ha parlato di moltissimi temi, dalla rapina subita ai social, fino al suo passato in bianconero.

SULLA LOTTA CONTRO IL CANCRO – “Preferisco essere considerato come uomo, al di là della mia professione. Ci sono battaglie che ho sempre reputato importanti e per le quali ho sempre combattuto. Ho perso il mio migliore amico a 17 anni per un tumore al ginocchio, un episodio che mi ha segnato e ora cerco di dare il mio contributo alla lotta contro la malattia”.

SUI SOCIAL – “Mi hanno impressionato i commenti sui social contro Silvia Romano, pieni d’odio. Pensare che queste piattaforme erano nate con l’obiettivo di condividere. Sono diventate uno strumento dove tutti sparano giudizi. Sta a noi adulti, che siamo cresciuti senza, spiegare ai più giovani che la realtà è un’altra. Ho detto la mia anche sulle tensioni in Siria e per questo a Malta, prima di un evento, mi hanno recapitato minacce di morte”.

SULL’ADDIO AL CALCIO – “Non è stata una decisione facile, considerato che il primo calcio al pallone l’ho dato a 3 anni.Però bisogna essere onesti con se stessi, quando non si è più in grado di tenere un certo livello. Il mio futuro? Adesso non saprei, mi piacerebbe raggiungere un traguardo importante extra-sportivo”.

SULLA JUVE – “Il primo ricordo fu di un borsone pieno di magliette della mia prima squadra. Poi le VHS che mi regalava mio papà, io mi divertivo a imitare le movenze dei campioni». Poi è arrivata la Juventus: «Ho conosciuto l’avvocato Agnelli che ero un bambino, il giorno dell’addio allo Stadium è stato pazzesco: tutti i sogni che avevo da ragazzo erano lì, realizzati”.

SULLA FAMIGLIA – “Mia mamma ha pianto per mesi, poi è stata la prima a venirmi a trovare con gli agnolotti. Mio papà? È sempre stato un punto di riferimento: lavorava tanto, poi il weekend non si perdeva una mia partita. Se ho smesso di giocare è anche per godermi di più la famiglia”.

 

 

 

x