TORINO – A rendere speciale lo Scudetto del 1958 ci sono tanti elementi. Quell’impresa ha innanzitutto acquistato una portata storica perché al termine del campionato il Consiglio direttivo della Lega calcio decide di autorizzare i club a cucire sulle proprie maglie una stella dorata al raggiungimento del decimo titolo. E a definire ancor più il significato della vittoria della Signora c’è il parallelo con quanto sono riuscite a fare le altre due grandi storiche del calcio italiano: l’Inter è arrivata al traguardo nel 1966, il Milan addirittura al termine del decennio successivo, nel 1979.
Per restare invece allo spirito vissuto effettivamente in quei giorni e proporre un accostamento con i tempi recenti, lo scudetto della prima stella assomiglia molto a quello della terza. Il 1958 come il 2012. Umberto e Andrea Agnelli accomunati dalla giovane età e dalle capacità di decisione; la scelta di un nuovo allenatore; una campagna acquisti di alto profilo; il conseguente totale mutamento di clima e di prospettive, impensabile alla conclusione della precedente stagione. Perché se la Juve che inizia il ciclo di 8 tricolori consecutivi è reduce da due piazzamenti consecutivi al settimo posto, quella che campioni come Omar Sivori e John Charles sono chiamati a risollevare arriva da un deludente torneo di metà classifica e da cinque anni senza successi.
Ulteriore parallelismo: la squadra campione in carica alla quale strappare lo scudetto è il Milan. Ma se la sfida diretta tra le due contendenti allo Stadium la si ricorda per la netta supremazia della Signora sul Diavolo, concretizzata nell’uno-due finale ad opera di Claudio Marchisio, quella che si gioca al Comunale il 9 marzo 1958 propone un episodio decisamente più eclatante del rigore che vale il successo trasformato da John Charles. Protagonista è proprio l’ariete gallese. Nelle battute conclusive della gara, il bomber bianconero viene lanciato a rete in contropiede; lo va a contrastare il rossonero Bergamaschi che riceve da John una involontaria gomitata e crolla a terra. Charles si trova solo davanti al portiere ma decide di fermare il gioco per mettere la palla fuori. Il pubblico gli riserva un applauso a scena aperta.
Infine, se il precampionato della prima Juve di Antonio Conte non presenta particolari picchi di rendimento e di ottimismo, quello dell’estate 1957 genera ben più di qualche perplessità dopo la sconfitta per 6-1 maturata a Bologna. Ma il calcio delle amichevoli è ben poco indicativo: con 3 vittorie di fila, i bianconeri guadagnano subito il primato in solitaria. Non verranno mai più ripresi, disegnando così un percorso da dominatori.
IL MISTER E LA LETTERA
Era stato proprio il mister, lo jugoslavo Ljubisa Brocic, a tranquillizzare Umberto Agnelli ai nastri di partenza. E lo aveva fatto con un impegno solenne: la Juventus, quella squadra che appariva troppo fragile in difesa nei primi test non ufficiali – e che sarebbe stata tale, ben 6 reparti arretrati concorrenti si comportarono meglio! – , avrebbe vinto il campionato. Non deve stupire un tale coraggio. L’allenatore ne aveva già dimostrato proponendosi al Presidente con una lettera dove raccontava le sue precedenti esperienze: oltre alla sua nazionale, aveva lavorato in Albania, in Egitto, in Libano e in Olanda. Ci vuole carattere per scegliere questa via irrituale: esibire un curriculum dal carattere cosmopolita (e non poco) e misurarsi in un Paese come l’Italia, dove l’attenzione sulla sua professione è notevole, per quanto non assolutamente paragonabile con l’oggi. A rafforzare la sua credibilità contribuirono le lunghe discussioni che permisero un’approfondita conoscenza reciproca. E anche quel suo portare un taccuino a ogni seduta d’allenamento, dove registrare minuziosamente ogni dettaglio statistico di ciò che vedeva, veniva visto come una stranezza – e tale era per quel tempo – ma intanto contribuiva a ottenere miglioramenti. In particolare nel reparto offensivo, che con 77 gol in 34 partite viaggiava a una media insostenibile per la concorrenza: la Fiorentina, piazzatasi seconda, ne mise a segno 21 di meno, un’infinità.
IL CAMMINO
C’è già tutto alla prima giornata, c’è esattamente quello che il pubblico aspetta e vuole vedere. Battere il Verona 3-2 rientra nella normalità. Ma il fatto che vadano in gol contemporaneamente Boniperti, Sivori e Charles offre l’idea forte che contrassegnerà l’annata: la fusione tra l’anima della Juventus – rappresentata dal suo Capitano – e il contributo d’eccellenza dei due fuoriclasse stranieri. La linearità del cammino della Juve è garantita dalla sua fame di vittorie. Lo dimostra il fatto che al termine del torneo si conteranno solo 5 pareggi, addirittura uno in meno delle sconfitte, a esaltare le caratteristiche di campioni che amano rischiare e non accettano troppi calcoli. I bianconeri festeggiano il titolo matematicamente alla quartultima giornata, operazione tutt’altro che normale nei campionati che assegnavano 2 punti a vittoria. Il Guerin Sportivo propose ironicamente di ribattezzare uno dei luoghi più affascinanti di Torino – Piazza San Carlo – in Piazza San Charles in onore di colui che con 28 gol è il trionfatore della classifica marcatori della Serie A.
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