TORINO – Sedici giocatori che compongono la rosa della Juve raffigurati con una vignetta, secondo il gusto dell’epoca. Una bandiera bianconera che sventola con sovrimpresso il volto di Dino Zoff. La scritta “Grazie Ragazzi!” a celebrare il primo dei due trofei in stagione: quando esce il numero di maggio di Hurrà Juventus, il 1989-90 non si è ancora concluso, c’è da disputare (e vincere) la finale di Coppa Uefa appena ottenuta superando in semifinale i tedeschi del Colonia. Ma quella squadra merita già ampiamente tutti gli applausi che sono dovuti quando si va oltre i propri limiti. Perché non c’erano dubbi alla vigilia della doppia finale di Coppa Italia: il favorito è il Milan, che si appresta a vincere la Coppa dei Campioni, bissando il successo dell’anno prima. Ma l’orgoglio dei bianconeri pesa e fa la differenza, oltre alle qualità di un gruppo che raramente viene raccontato nel suo aspetto tecnico, che invece esiste e trova una sua evidente manifestazione proprio in questa circostanza.
LE RAGIONI DELLA VITTORIA
“Fantastico 8”, è il titolo del pezzo firmato da Adalberto Bortolotti, raffinato narratore del Guerin Sportivo, che sul mensile bianconero va alla ricerca delle motivazioni che spieghino la vittoria dell’ottava Coppa Italia. Mancava da sette anni il trofeo nazionale, ma il ritardo che più conta e pesa è quello complessivo, perché è dal 1986 che la Juventus non festeggia un titolo (in quel caso lo scudetto) e il dopo-Trapattoni si è rivelato più difficile di quanto si fosse preventivato. Tanto è vero che la società ha pensato a un radicale rinnovamento, puntando su un nuovo allenatore per la stagione futura – Gigi Maifredi – e annunciandolo quando i giochi di quella in corso devono essere ancora determinati per intero. Una decisione che compatta decisamente la squadra attorno a mister Dino Zoff, uomo abituato a navigare in acque non proprio tranquille. Nel 1978 la critica gli imputò la responsabilità principale per non avere vinto il Mondiale in Argentina; a quello successivo è proprio lui, portiere straordinario, ad alzare la Coppa in Spagna e a diventare l’icona celebrativa della fantastica impresa sul francobollo disegnato dal pittore Renato Guttuso. Il tempo è (quasi) sempre galantuomo e Dino lo sa e galantuomo lo è. Anche così si spiega quel che succede il 25 aprile 1990.
Quel giorno, in un San Siro che aspetta l’ormai vicina inaugurazione di Italia ’90, la Juve supera per 1-0 il Milan di Arrigo Sacchi con una zampata di Roberto Galia su suggerimento di Giancarlo Marocchi. E sarà pur vero che poi la condotta della Signora è prevalentemente difensiva o – come si legge su Hurrà – è “una partita ad altissimo contenuto agonistico, di molto coraggio e di estremo sacrificio”. Ma non vanno dimenticate un po’ di cose: lo 0-0 dell’andata al Comunale, un risultato bugiardo rispetto alla netta supremazia dei bianconeri; il 3-0 – sempre a Torino – in campionato, con l’alta linea difensiva rossonera presa d’infilata più volte dai rapidi attaccanti di casa; e, infine, cosa ancor più importante per smentire un po’ di convinzioni radicate che fissano idee fino a farle diventare luoghi comuni, l’azione del gol che decide la Coppa Italia nasce da un fallo laterale, originato dalla pressione della squadra bianconera che mette in crisi l’impostazione dei difensori di Sacchi. Non sempre, non in maniera ortodossa, ma un certo atteggiamento aggressivo evidentemente sa metterlo in atto anche la Juventus. Il resto l’ha fatto l’autore del gol, con quel suo “elegante tocco sull’uscita di Galli” che “ha avuto subito il marchio dell’esecuzione”.
IL VALORE DELLA COPPA
“Non è stata una Coppa Italia qualunque: mai, nelle ultime edizioni, questo trofeo a lungo colpevolmente snobbato dalla nostra organizzazione calcistica, aveva registrato una così determinata e accanita partecipazione dell’aristocrazia nazionale”: Hurrà riproduce il consueto dibattito sulle alterne fortune del trofeo, che nell’edizione del 1990 registra un grande interesse testimoniato dal “nuovo record assoluto di spettatori” e da “un incasso allegramente proiettato oltre la quota di tre miliardi” (si parla ovviamente di lire e non è cifra di poco conto). Non solo: per arrivare a San Siro, la Juve ha dovuto eliminare Sampdoria e Roma. “Nessuna competizione europea, per dire, è in grado di presentare rivali di così elevato tasso tecnico” e la constatazione di Bortolotti non paia esagerata, tenendo conto dello stato di salute del calcio italiano nel contesto internazionale: i blucerchiati in quell’anno vinceranno la Coppa delle Coppe e i giallorossi nel 1991 raggiungeranno la finale di Coppa Uefa. L’Europa parla più che mai italiano e talvolta quel che si sente è una sola voce, gli altri fanno la parte degli sconfitti.
Ma c’è una ragione più prettamente bianconera a rendere particolarmente prezioso l’exploit, tanto da far dire a Zoff che a San Siro “è stato come vincere un campionato”. Ed è la dedica a ricordarcelo, proposta dall’allenatore e dal capitano Stefano Tacconi, che sentono il bisogno di ricordare Gaetano Scirea, l’indimenticabile amico scomparso all’inizio della stagione.
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