TORINO – Quando si pensa a Ravanelli, l’immagine automatica che scatta nella mente di ogni tifoso juventino è quella del suo gol nella finale di Champions League con l’Ajax. Non solo per l’importanza della partita o perché quella è in fondo l’ultima occasione in cui lo abbiamo visto giocare con noi (senza saperlo prima, peraltro). Probabilmente l’azione dell’1-0 riesce a sintetizzare meglio di ogni altro istante tutto ciò che Fabrizio è stato nel corso della sua carriera e particolarmente nella sezione trascorsa a Torino.
Intanto, perché indica come Rava non ha mai tradito al cospetto dei grandi appuntamenti. La storia del calcio è piena di campioni celebrati a buon diritto che al momento della sfida che conta sono andati fuori giri per svariate ragioni, non ultime quella zavorra che può essere l’emotività. L’11 bianconero, invece, c’è sempre stato nei momenti che contano e basterebbe rivedere la sequenza delle sue reti al Parma nella stagione 1994-95. Contro la rivale più accreditata, lui segna 4 gol complessivi nei due decisivi incontri in campionato e aggiunge la perla del sigillo definitivo nella finale di ritorno della Coppa Italia.
Il secondo fattore che conta è che solo uno con la sua determinazione può credere che su quel pallone apparentemente perso la difesa dell’Ajax possa andare a combinare un bel pasticcio. E se certo Frank de Boer e Edwin Van der Sar non sono impeccabili nel gestire la situazione, riuscire a infilarsi in mezzo, toccare di sinistro e colpire con l’altro piede da posizione defilata è la perfetta rappresentazione della somma delle qualità dell’attaccante bianconero. In quella situazione già solo pensare di riuscirci è cosa non da tutti.
Infine, c’è l’esultanza. Fabrizio corre come un pazzo, imprendibile. Chi è all’Olimpico capisce da quell’entusiasmo senza argini di contenimento che in campo c’è qualcosa di più di un giocatore: Ravanelli è un tifoso della Signora e questa condizione gli regala quel coraggio che ti porta oltre i limiti, ti fa vivere ogni partita così.
Ma come viveva Penna Bianca in quell’anno indimenticabile? Cosa pensava quando ancora era lontano l’obiettivo della laurea europea? Nella ricerca ci aiuta un’intervista su Hurrà Juventus del marzo 1996 a firma Camillo Forte.
TUTTO L’ORGOGLIO DI FABRIZIO
Non bastano valanghe di gol (30 nella prima stagione con Marcello Lippi, è lui il capocannoniere della squadra) a far cambiare le opinioni maturate precedentemente. Ravanelli si trova a convivere perennemente con una sfilza di etichette che finiscono per diventare luoghi comuni e che vertono tutti su una presunta approssimazione tecnica.
Gli danno del gregario, del bomber di scorta e sarà pur vero che qualche controllo di palla non sarà perfetto, ma questo non gli impedisce la confezione di autentici capolavori sotto porta, ancor più apprezzabili tenendo conto di quanti chilometri percorre in lungo e in largo: “C’è chi nasce architetto, chi geometra, chi uomo di fatica”, spiega Fabrizio. “E tutti sono indispensabili, io non mi sono mai arrabbiato di niente per niente. L’importante è che ci sia la buona fede, poi va bene tutto. Vado orgoglioso di una cosa: tutto quello che ho ottenuto l’ho conquistato con la fatica e il sudore, nessuno mi ha mai regalato niente. Non sono mai stato un raccomandato. Da niente e da nessuno”.
Viene da ripensare al primo periodo, al biennio con Trapattoni dove la maglia da titolare era un’ipotesi e non una certezza. Non è facile trovare un posto in prima fila arrivando dalla provincia quando davanti hai Roberto Baggio, Gianluca Vialli e Andy Moeller. “Il primo giorno che sono arrivato a Torino tremavo dall’emozione, non mi sembrava vero, eppure era tutto vero“: aggiungete questa considerazione all’orgoglio di essere “uno che dà tutto e non si risparmia mai” e si capisce molto di come Rava sia diventato un protagonista.
LE PREVISIONI
Per calarci bene all’inizio della primavera del 1996, bisogna considerare che il cammino in Champions è ancora lungo ma – contemporaneamente – il ritardo in classifica in campionato rispetto al vertice è significativo, è praticamente impossibile pensare a un bis tricolore. Non mancano le critiche e la difesa di Ravanelli è alquanto appassionata a partire dall’allenatore: “Il Mister è grande, ogni tanto qualcuno prova a metterlo in discussione: ma siamo matti? Se qualcuno la pensa così significa che il calcio ha cambiato abitudini. Lippi ha portato lo scudetto e una mentalità nuova. Può aprire un ciclo assieme a noi” (previsione quanto mai azzeccata). E per dare forza alle speranze, Fabrizio parla a chiare lettere, pensando all’ancora lontana Roma e alla notte del 22 maggio: “Chiedo ai tifosi di starci vicino, è nei momenti meno brillanti che si ha bisogno del loro sostegno. Insieme possiamo toglierci molte soddisfazioni. Non è finita qui, festeggeremo qualche cosa di prestigioso. Lo sento, ma non lo dico. Per scaramanzia? Fate voi…” (ed anche qui ci ha visto giusto…)
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