TORINO – Claudio Marchisio non è uno che ama buttarsi a terra, abbattersi è una parola che gli è sconosciuta, anche se l’esclusione dal derby non può non avergli fatto male. I due giorni in questione – la domenica e il lunedì, appunto – sono simili soprattutto nelle reazioni delle parti in ballo: se 48 ore fa la moglie Roberta aveva postato un messaggio inequivocabile («La tolleranza arriva fino alla linea del rispetto reciproco, passando quella si trasforma») e lui aveva così commentato l’esito del match («Ci vuole audacia, passione e ambizione per vincere un derby… per essere bianconeri»), ieri le riflessioni in casa Marchisio non sono cambiate. La delusione è forte, anche da parte di chi conosce Claudio alla perfezione, ma si prova a guardare avanti. Poi è chiaro che un’occhiata ai numeri occorre darla. E 6 partite su 13 giocate da titolare, per chi ne ha messe insieme 382 in 13 anni, un po’ fanno discutere. Il dibattito monta, fra i tifosi (che si dividono tra marchisiani e allegriani) e non solo. Di sicuro, per ora, ci sono: le cifre di un contratto rinnovato (era il 2015) fino al 2020 con ingaggio da 3,6 milioni più bonus; le avance insistite del Milan l’estate scorsa, con no secco del giocatore; la consapevolezza, maturata non certo ieri e forse con più di un rimpianto per i continui infortuni che hanno minato la continuità d’impiego del centrocampista, del fatto che un futuro. E Claudio, un anno dopo l’ultimo gol segnato in bianconero (4-1 al Palermo e caso Bonucci che stava ormai covando), sa che vuole restare, la sua juventinità resta un valore fortissimo e travolgente nonostante si aspettasse di giocare domenica, in assenza di Blaise Matuidi. Quella degli Stati Uniti è una tentazione che può intrigarlo a gioco lungo, non adesso che si sente nel pieno delle sue facoltà psicofisiche
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