TORINO – Sino alla fine. E alla fine siamo tutti Allegri. E’ lui l’artefice di un’altra impresa a Wembley. Il più criticato, ma poi sempre il più incisivo. Stavolta addirittura con due riserve (Asamoah e Lichtsteiner) a scadenza, come si può non esaltare la sua assoluta magnificenza? Adesso sul suo diktat metteteci pure il bollo: il dominio del possesso è nulla senza il controllo. Così la Juve resiste al Max ed è il Tottenham ad uscire degli spazi. Anzi, dalla Champions, Brexit. E pensare che quasi tredici anni fa, il 7 luglio 2005 Allegri discuteva a Coverciano la tesi per prendere il patentino di allenatore di prima categoria.:“Caratteristiche dei tre centrocampisti in un centrocampo a tre”, fu il titolo della tesi. Ieri, fuori Matuidi in difficoltà sulla mediana, per vincere in antitesi. Ma in quelle 17 pagine rimane comunque parte del suo successo e anche della sua idea di calcio. Va presa, letta, analizzata. Dentro c’è lui da giocatore (mezz’ala riluttante all’inizio, entusiasta poi) e lui da tecnico. Ci sono i semi di ciò che ha sviluppato a Cagliari, al Milan e ora alla Juventus. C’è un’idea diversa da molti coetanei. C’è il continuo ritorno alla tecnica.
TECNICA
La tecnica non è per forza spettacolo. Talvolta per Allegri è intelligenza, è sfruttarla per attendere il momento giusto. Ecco perché Max è strano, diverso, irrituale. Italiano da sempre, ma apparentemente non italiano negli ultimi tempi: “Se tecnicamente giochiamo bene possiamo farcela”. Controintuizione, perché tutti pensavano che l’unica possibilità della Juve in Champions fosse la pressione, il ritmo, la forza, la grinta, le palle. Invece bastano due tocchi, due uno contro uno, questa è classe. E anche un’ idea fissa, nata con lui e trasmessa alla Juve da lui. Per questo i personaggi Higuain e Dybala, l’autore, lo hanno trovato eccome e si chiama Allegri. Così è, anche se a qualcuno magari non pare. Ma vedi anche i numeri della difesa e ti rendi conto di quanto la mano del mister si sia data da fare.
DIFESA
Il 19 novembre 2017, ormai quasi quattro mesi fa, la Juventus perdeva 3-2 a Genova contro la Sampdoria, subendo 3 reti in 25 minuti ed andando sotto per 3-0 prima di trovare 2 gol nel tempo di recupero della partita. Oltre a condannare la Juventus alla seconda sconfitta in campionato, le 3 reti subite portavano a 14 il totale di gol incassati dai bianconeri nelle 13 gare di campionato disputate sino a quel momento: una media di più di 1 gol a match, davvero eccessiva per una squadra che basava i successi degli ultimi anni sulla solidità della propria fase difensiva. Da allora la ricerca dell’equilibrio da parte di Allegri è diventata quasi ossessiva, da allora appena 4 gol subiti (3 dal Tottenham, 1 ininfluente dell’Hellas) sino a ieri sera per proseguire – dopo 3 scudetti, 3 coppe Italia e 2 finali nell’Europa che conta – il viaggio nella gloria.
CAPARBIETÀ
Non vuole prendersi alcun merito, Allegri. Lo fa ora che è un mito, lo faceva quando non era nessuno. Addirittura scherza sul suo intenso lavoro: “Mi piace il cazzeggio. Tattiche e schemi? Puttanate”, disse una volta. E ieri: “Coi cambi cerco solo di rimediare ai miei errori”. Insomma, Max dice di resuscitare le partite solo con la sua sua testardaggine: “Sulla mia carriera di allenatore nessuno avrebbe scommesso mezzo caffé. ‘Allegri è un coglione”, dicevano. Ma io vengo da Livorno, sono un uomo di scoglio e lo scoglio, come si sa, è duro”. Anche quest’anno Massimiliano ha raccolto un’altra sfida quasi per sfizio. Dopo tre anni di trionfi, la Juve sembrava barcollare, lui è tornata a renderla imbattibile perché c’è un altro campionato e un’altra Europa da scalare.
SUCCESSIONE
Tre anni fa Allegri arrivò all’improvviso, dopo l’ultimo tradimento di Conte, tra pernacchie e sputi. Si mosse in punta di piedi, non ebbe l’arroganza di intaccare un sistema che funzionava benissimo e si limitò ad assecondarne una lenta evoluzione, avendo come obiettivo (anzi, era la missione specifica che gli era stata data) di alzare il livello di competitività internazionale della squadra, di sprovincializzarla, di renderla adatta alle grandi sfide europee. Max non solo l’ha fatto, senza minimamente compromettere la superiorità nazionale (a differenza di Conte, è riuscito a vincere anche tre Tim Cup) e guadagnandosi mese dopo mese la considerazione dei colleghi e dei presidenti inglesi, francesi, tedeschi, spagnoli. Ma ha pure resistito – come ieri sera – nei momenti più difficili (vedi l’infermeria stracolma) e bui.
AMORE
Alla Juve Allegri è l’uomo che non c’era, l’acciuga che ha “fatto” il pallone come nelle canzoni di De André: “Amico no, carceriere mai. Non recludo i calciatori, li responsabilizzo. Detesto gli yes-men e so di non avere sempre ragione. Se dicessi solo cose giuste, sa che palle? Berlusconi mi chiese se ero comunista? Assolutamente no. A me della politica non importa quasi niente. Gli ideali sono andati a farsi fottere…”. Eppure Max a Torino ha portato i suoi. Quelli del perfezionista, che si strappa le vesti di dosso in campo per un passaggio sbagliato o la ripartenza avversaria, che urla per tutta la partita e usa anche toni duri quando il giocatore persiste nell’errore. Per questo i tifosi, spesso critici, oggi non possono far altro che dichiarargli il proprio amore. Lui non giura quello eterno – nonostante la relazione con Ambra – ma intanto potete di nuovo crederci a Kiev. A un altro meraviglioso inferno.
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